“Mio fratello Carlo ucciso senza motivo nella città violenta”

Carlo Macro ucciso in via Garibaldi da un'indiano che viveva in una roulotte. (foto di Angelo Franceschi)

Di Massimo Lugli (Repubblica.Roma.it, 21 febbraio 2014)

"Sono uscito con mio fratello per andare a un concerto e, al ritorno, mi è morto tra le braccia. Ancora non riesco a rendermene conto. La violenza di questa città la conoscevo, la conoscevamo io e Carlo, l'abbiamo vista tante volte andando in giro di notte ma eravamo convinti, io e lui, che se non ti cacciavi nei guai, se non te l'andavi a cercare, non avresti rischiato nulla...". Una pausa, un lungo sospiro prima di riprendere a parlare, a raccontare una tragedia assurda e inspiegabile che ha stroncato una giovane vita e distrutto una famiglia. È un dolore mesto, dignitoso quello di Francesco Macro, il fratello di Carlo, assassinato al Gianicolo da un colpo di cacciavite che gli ha spaccato il cuore. Uno strazio a occhi asciutti: le lacrime, ormai, sono già state tutte versate. La stessa, composta, disperazione della mamma, Giulia, dello zio Carlo, della fidanzata di Francesco, Caterina, degli amici e dei parenti che entrano uno dopo l'altro in questo appartamento di piazza San Pietro in Vincoli, si abbracciano, si baciano, si scambiano carezze, strette di mano, timide pacche sulle spalle. Le foto di Carlo e di Stefano, ovunque: due ragazzi alti, magri, con l'aria un po' arruffata degli intellettuali anni '70, capelli ricci, barba di qualche giorno. Due fratelli molto simili, con lavori diversi e tante passioni comuni.

"Io e Carlo amavamo la musica", continua Francesco "domenica eravamo andati a Ciampino a sentire Liam Gallagher, l'ex frontman degli Oasis, col suo nuovo gruppo Beady Eye. Ci piacevano le rockstar anni '70, Bruce Springsteen, i Rolling Stones... Eravamo stati insieme a Firenze, a Bologna, a Londra. Mai avuto brutte esperienze, mai una rissa, una provocazione, un tafferuglio. Stavamo attenti, se succedeva qualcosa di brutto ce ne andavamo".
E quella sera, invece?
"È stata una cosa fulminea... Abbiamo accompagnato a casa un amico che abita a Monteverde e siamo risaliti sulla nostra Panda. Vorrei precisare una cosa: il volume della radio era basso, visto che stavamo chiacchierando tra noi. Al Gianicolo ci siamo fermati per fare la pipì, io da una parte e mio fratello dall'altra. Io a un certo punto l'ho visto accanto a una persona ma non ho capito cosa stesse succedendo. Non c'è stato neanche un gemito. Carlo è tornato alla macchina barcollando. Ho pensato che stesse male, non c'era un filo di sangue. Non ha detto una parola, stava già morendo".
Cosa ha fatto?
"L'ho caricato in macchina. Sono partito di corsa verso l'ospedale più vicino ma, al Nuovo Regina Margherita, non c'era pronto soccorso. Ho chiesto a due dottoresse di fare qualcosa, l'hanno steso a terra e solo quando gli hanno alzato la maglietta ho visto la ferita: un foro sul torace che sembrava minuscolo. Poi lo hanno caricato in ambulanza, so che è morto durante il trasporto verso il Fatebenefratelli".
Quando gliel'hanno detto?
"Quasi tre ore dopo. Prima ho accompagnato i carabinieri a prendere quell'indiano ma sono rimasto in macchina, nemmeno l'ho visto... Poi, in caserma, un maresciallo mi si è avvicinato: ti devo dire la cosa peggiore che potrei dirti. Così ho saputo che mio fratello era stato ucciso. Non c'è stata alcuna lite, neanche una discussione. Non so perché quell'uomo lo ha fatto, se per follia, per rabbia, perché era ubriaco... So solo che è stata un'aggressione a freddo, senza alcun motivo".
Cosa prova per l'uomo che ha ucciso Carlo? Cosa chiedete?
È la madre, Giulia, a rispondere. Una donna che sembra schiacciata da una stanchezza mortale ma che, come tutti gli altri, mostra un controllo quasi sovrumano. Il dolore, in questa famiglia straziata, si porta dentro, non si esibisce.
"Non vogliamo alcuna forma di vendetta. Chiediamo giustizia, una sentenza per omicidio volontario con l'aggravante dei futili motivi, esattamente quello che è accaduto. Ma vorrei sapere perché si mettono delle persone potenzialmente pericolose nelle roulotte sparpagliate in tutta la città. È capitato a mio figlio ma poteva succedere a chiunque. Tra l'altro episodi come questo possono creare forme di intolleranza, di odio razziale... Non è il nostro caso, gliel'assicuro".

Arriva il parroco, arrivano altri amici. L'assessore ai servizi sociali, Rita Cutini è stata tra le prime a bussare alla porta e il vicesindaco Luigi Nieri ha portato le sue condoglianze. "Le istituzioni ci sono state vicine" aggiunge Francesco, un ingegnere di 36 anni che lavora in una piccola impresa mentre il fratello era albergatore "Ma credo che qualcosa, per questa violenza dilagante, vada fatto. Non ce l'abbiamo con gli extracomunitari, per carità, mio fratello era diventato amico di un bengalese che stava sempre qui in piazza. È la rabbia assurda, la follia omicida, le risse, le aggressioni che vanno bloccate. Come? Non lo so, non spetta a me trovare rimedi". No, non spetta a Francesco Macro nè alla mamma Giulia dare suggerimenti. Loro aspettano i funerali, oggi alle 11 a Santa Maria in Trastevere, chiedono giustizia, piangono a occhi asciutti.


fonte: roma.repubblica.it

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